martedì 12 febbraio 2013

Trimastanze

C'è il cesso, con lo scorteccio dello smalto nero tra le piastrelle del muro.
C'è la stanza con il logoro del fumo appiccicato sullo smalto smorto della parete.
Ci sono le chiazze di sugo e le briciole d'erba, la cenere ed i mozziconi.
La sborrata di quella volta che andò a finire tutta sul divano, il laniccio tra il termosifone e la parete.

Nello sporco e zozzo rifugio di neuroni spiaccicati restano le rovine di rapporti interpersonali sgretolati dalle incomprensioni, o da comprensioni troppo approfondite.
Nella lunga immersione verso direzioni incerte prende a farsi strada un tarlo di malinconia in apnea.

Prendo a parlare con persone che non conosco molto bene, con vitalità, cercando di conoscere e di farmi conoscere, come per sfuggire al mio mondo noto. Non è da me, se non in una sbronza in cui i miei capelli vengono direttamente da una madre etiope, e mi permettono di parlare senza motivo uno strano slang anglo/jamaicano od africano, con tale sicurezza da convincere dei veri africani: -Yo rastaman!- Così mi perdo nella notte, in una città che vivo da anni, ma che sempre riesce ad intrecciare le sue strade quando le percorro ebbro per andare verso casa, e mi ritrovo così una mattina fuori Milano, a fare amicizia con un autista che mi offre la colazione. Ugualmente da sobrio, coi nervi a pezzi ed insonne, eccomi a parlare e a chiedere, ad interessarmi, e a sfogarmi, cercando di lavarmi dalla rabbia impotente della frustrazione che trasuda un vestiario troppo appiccicoso per scollarsi.

Annaffio un piccolo albero in vaso che sta sopra le mie fedelissime yamaha hr-40.
Lui mi guarda contorto fra i suoi rami timidamente verdi.
Osservo i pochi soldi che sono rimasti nel cassetto del denaro, ricordandomi quando oggi la carta ha fatto uscire sullo schermo del bancomat la scritta:" Richiesta superiore alla disponibilità". Non posso rimettere il gas nemmeno a volerlo.
Riso senza qualità al microonde sofficemente digerito in bianco.
Notti e mattinate trascorse da un affabile grigiore.

Pensavo agli istanti, ora uccisi da un futuro in rapida rotta di collisione.
Attacco al chiodo il riposo per osservare da vicino valli di nozioni su carta, o su led.

E c'è ancora il muro sbucciato la dove ho staccato quella foto, la chiazza di unto sul pavimento di cucina, e, soprattutto, del cellophane nudo ormai da giorni, all'angolo del tavolo.