Pausa
E' inutile stare tanto a filosofeggiare, a cercare la poetica delle cose.
Quella in realtà è evidente, nei colori e nelle luci. E' la realtà stessa.
Inutile stare nel letto un giorno intero, quasi a cercare di rinascere. Come a sentire il mio Andrea Pazienza personale che urla dalla finestra.
Non so che cosa stessi aspettando oggi in realtà, nello sporco di queste quattro mura o sotto le coperte.
Di certo non ho pensato nè a poetica, nè a filosofia.
Osservandomi attorno, in questo disordine che conosco a memoria, forse ho escogitato questo modo per lamentarmi?
Rimandando qualunque cosa, in una sorta di condizione zen placebo, indotta dall'immobilità del mio intorno.
Ho visto la luce venire ed andare, fuori dalla finestra.
Sperando in un contatto, a ricaricare le batterie sotto il dominio di questo mal di testa, smaltendo la mia intossicazione.
Aspettando con pazienza un cambiamento, senza sapere bene quale.
Uscire di casa per passeggiare soltanto, sperando di incontrare qualcuno rientrando, magari le vicine fiche, mi sembra di aver fatto l' ora d'aria.
Aspettando un contatto. Una telefonata? Perchè poi?Non avrebbe senso...
Forse mi sarei aspettato che uscisse una soubrette dal cesso?
A questo punto il contatto avviene con me stesso, che mi palesa l'altro punto di vista delle cose.
Senza averlo capito, ho praticato vittimismo. Io su di me.
Ormai queste manifestazioni sono così prive di concetti da essere poco riconoscibili, come cariche emozionali bianche.
Bisogno di tempo, di quiete.
La continua ricerca del contatto però palesa la verità.
Quella che per me è adesso la verità.
L' utilità di questo tempo è stata semplicemente quella di capire la necessità dell' azione.
Sentendomi ridicolo di fronte a me stesso, per non averci nemmeno pensato prima.
Come se non ne passassi di tempo stagno...
Quella in realtà è evidente, nei colori e nelle luci. E' la realtà stessa.
Inutile stare nel letto un giorno intero, quasi a cercare di rinascere. Come a sentire il mio Andrea Pazienza personale che urla dalla finestra.
Non so che cosa stessi aspettando oggi in realtà, nello sporco di queste quattro mura o sotto le coperte.
Di certo non ho pensato nè a poetica, nè a filosofia.
Osservandomi attorno, in questo disordine che conosco a memoria, forse ho escogitato questo modo per lamentarmi?
Rimandando qualunque cosa, in una sorta di condizione zen placebo, indotta dall'immobilità del mio intorno.
Ho visto la luce venire ed andare, fuori dalla finestra.
Sperando in un contatto, a ricaricare le batterie sotto il dominio di questo mal di testa, smaltendo la mia intossicazione.
Aspettando con pazienza un cambiamento, senza sapere bene quale.
Uscire di casa per passeggiare soltanto, sperando di incontrare qualcuno rientrando, magari le vicine fiche, mi sembra di aver fatto l' ora d'aria.
Aspettando un contatto. Una telefonata? Perchè poi?Non avrebbe senso...
Forse mi sarei aspettato che uscisse una soubrette dal cesso?
A questo punto il contatto avviene con me stesso, che mi palesa l'altro punto di vista delle cose.
Senza averlo capito, ho praticato vittimismo. Io su di me.
Ormai queste manifestazioni sono così prive di concetti da essere poco riconoscibili, come cariche emozionali bianche.
Bisogno di tempo, di quiete.
La continua ricerca del contatto però palesa la verità.
Quella che per me è adesso la verità.
L' utilità di questo tempo è stata semplicemente quella di capire la necessità dell' azione.
Sentendomi ridicolo di fronte a me stesso, per non averci nemmeno pensato prima.
Come se non ne passassi di tempo stagno...
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